27 marzo 2007

Homesh, prosegue la sfida dei coloni

Vogliono ricostruire l'insediamento raso al suolo nel 2005
(ANSA) - TEL AVIV, 27 MAR - Prosegue per il secondo giorno consecutivo la sfida di centinaia di coloni tornati nella colonia sgomberata di Homesh, in Cisgiordania. L'obiettivo dichiarato dei coloni e' quello di ricostruirla. Assieme ad altri tre insediamenti della Cisgiordania settentrionale e una ventina di colonie a Gaza, Homesh fu rasa al suolo nella estate del 2005 nel contesto della politica di disimpegno dai palestinesi enunciata dall'allora premier, Ariel Sharon.

Qualche dubbio sul fatto che sia stata "rasa al suolo" lo si ha quando si osservano le foto satellitari aggiornate al maggio 2006. Chi ha istallato sul proprio computer Google Earth può facilmente trovare la colonia: un anello chiaro di terra smossa contorna la collina sulla cui cima si vedono ancora gli edifici intatti, il tutto a pochi km a nord overst di Nablus (Nabulus, cercando in Google Earth). Sorprende sapere che un migliaio di persone si siano potute recare da Israele a Homesh senza avere problemi ai checkpoint. Chi è stato in Palestina sa quanto difficile è per una persona normale (come un lavoratore) fare pochi chilometri senza incappare in controlli. Gli ex coloni (ritratti in foto) possono invece agevolmante muoversi in Palestina e manifestare all'interno di quella che è stata dichiarata da IDF una zona militare e le inutili avvertenze vuote dell'esercito israeliano ("non puoi andarci") rimangono le sole citazioni delle agenzie italiane al punto che secondo queste ultime a tutt'oggi non si sa stia continuando l'occupazione.

Per tenervi aggiornati sugli sviluppi potete usare questo link

26 marzo 2007

Pulizia etnica

Lo storico ebreo israeliano Ilan Pappe, docente presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’ Università di Haifa, è in procinto di trasferirsi in Gran Bretagna. Da sempre impegnato affinché il conflitto israelo-palestinese venga riportato nel suo vero contesto storico, lontano dal mito e dalle false verità che lo hanno segnato, ammette di non riuscire più a lavorare con serenità e di sentirsi quotidianamente preso di mira. Pur essendo uno storico che ha fatto sempre il suo lavoro con estremo rigore, stimato dai suoi studenti, viene attaccato di continuo perché le conclusioni dei suoi studi non sono coerenti con la versione ufficiale sul contesto che portò alla nascita di Israele e pongono interrogativi sulle politiche (dello Stato ebraico, ndr) nei riguardi di palestinesi e arabi.

Intervistato da Il Manifesto ammette:

Il paese va indietro, le discriminazioni e gli abusi contro la minoranza araba si intensificano, certe forze politiche parlano apertamente di espulsione degli arabi israeliani, la politica di occupazione (di Cisgiordania e Gaza, ndr) continua, così come la colonizzazione ebraica delle terre palestinesi.

In Palestina, prima, durante e dopo il 1948, è stato attuato un piano ben preciso volto a pulire etnicamente il territorio dove è sorto lo Stato di Israele. Documenti e testimonianze, a quasi sessanta anni di distanza da quei giorni, lo dicono con estrema chiarezza. Israele in ogni caso non ammetterà mai le sue responsabilità nella questione dei profughi, il governo attuale e quelli futuri faranno il possibile per lasciare nei campi per rifugiati tutte quelle persone (800mila nel 1948, oggi sono circa 4 milioni, ndr) che reclamano i loro diritti. Non credo però che i Paesi arabi saranno disposti ad accogliere la richiesta di Israele di dimenticare l'esistenza dei profughi e di modificare l'iniziativa di pace araba del 2002.

Ci sono alcune aree dove procede una politica di pulizia etnica ad avanzamento lento. Nell'area della «grande Gerusalemme», ad esempio. La costruzione del muro, l'espansione delle colonie, la confisca dei terreni, recinzioni e restrizioni ai movimenti delle persone, stanno costringendo migliaia di palestinesi ad andare via, ad abbandonare le loro case. Lo stesso accade tra Gerusalemme e Ramallah e tra Gerusalemme e Betlemme, e lungo la strada che porta fino a Gerico. Almeno 40mila palestinesi hanno dovuto fare i bagagli e trasferirsi più all'interno in Cisgiordania. Rendere la vita impossibile, restringere le possibilità economiche, ridurre le capacità di sviluppo. Queste nuove strategie di pulizia etnica stanno funzionando bene in Palestina, anche perché si uniscono alla linea del rifiuto di un negoziato vero con i palestinesi
.

21 marzo 2007

Vita quotidiana a Nablus


Dello splendore di un tempo poco o nulla rimane a Nablus, città-prigione dalla quale per uscire serve un permesso delle forze di occupazione israeliane, anche solo per recarsi in un villaggio vicino. Dai posti di blocco all'ingresso sud della città, dove quotidianamente centinaia, talvolta migliaia, di palestinesi si affollano per i controlli, si scorgono le automobili dei coloni israeliani, liberi di muoversi come meglio credono nella terra che occupano illegalmente, incuranti delle risoluzioni internazionali.
La «Perla del nord» (190 mila abitanti), la città ritenuta il motore dell'economia palestinese in Cisgiordania, ormai non riesce più a nutrire gran parte dei suoi abitanti
I negozi aperti sono pochi, tante le saracinesche abbassate, da mesi se non da anni, per le piccole e antiche fabbriche di sapone ormai passano pochi acquirenti e rarissimi turisti. Il pericolo di improvvise incursioni di unità speciali dell'esercito israeliano, a caccia di giovani militanti dell'Intifada nascosti nella città vecchia, contribuisce a tenere la gente lontana dalla parte più caratteristica di Nablus. Che la mancanza di sicurezza, i raid israeliani e, naturalmente, la chiusura totale del centro abitato, siano la causa principale della crisi della città ne sono tutti convinti. A cominciare da Basel Kanan, il presidente della Camera di Commercio. «L'ultima incursione israeliana, tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo (che secondo il portavoce militare ha portato alla scoperta di laboratori di ordigni esplosivi, ndr), ha causato perdite economiche per un milione di dollari al giorno. Circa 150 negozi hanno ricevuto danni per 400mila dollari», ci dice Kanan sottolineando che commercianti e imprenditori lasciano la città per trasferirsi in centri abitati più piccoli, dove i raid israeliani sono meno frequenti e c'è una maggiore libertà di movimento.
L'Ocha, l'ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell'Onu, ha calcolato che nel 2006 check-point e blocchi stradali sono aumentati del 40% rispetto all'anno precedente, arrivando a toccare la cifra record di 528. Un gran numero di questi ostacoli sorge proprio intorno a Nablus. Qualsiasi abitante maschio, di età compresa tra i 16 e i 35 anni, non può andare da Nablus al centro o al sud della Cisgiordania.
L'Ocha tenta di mediare con le autorità militari, nella speranza di allentare la pressione su Nablus e migliorare la vivibilità in Cisgiordania. «La frammentazione del territorio è in continuo aumento - spiega Tom Shearer, un funzionario dell'agenzia dell'Onu - la Cisgiordania è stata divisa in tre aree - nord, centro e sud - e per i palestinesi diventa sempre più difficile andare da una zona all'altra. Le attività quotidiane ne risentono molto. Il numero dei posti di blocco è aumentato progressivamente, anche nelle fasi in cui la situazione generale era più tranquilla e non si registravano atti di violenza particolari».

Da Il Manifesto

19 gennaio 2007

Peres: l'uomo degli olivi

Mo: Peres chiede olivi a Italia per piantare 4 milioni di alberi tra Israele e Palestina
ANSA) - GERUSALEMME, 16 GEN - Il vice premier israeliano Shimon Peres ha proposto che l'Italia prenda l'iniziativa di piantare quattro milioni di alberi di olivo.Gli alberi dovrebbero essere piantati tra Israele e Palestina per facilitare la pace tra i due popoli. Lo ha riferito il vice ministro degli Esteri Ugo Intini, che ha avuto ieri un colloquio con Peres. Secondo Peres, ha detto Intini, l'Italia 'dovrebbe organizzare un dispiegamento di 4 milioni di olivi', cio' avrebbe un significato economico importante.

A Bil'hin stanno già preparando il terreno (per piantarli?)

12 gennaio 2007

Piccoli coloni crescono

21 novembre 2006

SFATANDO DAVID GROSSMAN

Trovo ed inoltro questo articolo di Gilad Atzmon.

Il mondo, così sembra, sta accogliendo con una grande ovazione il nuovo oratore israeliano, l'autore David Grossman. Le pubbliche relazioni di Israele hanno disperatamente bisogno di un intellettuale retto, un autore che 'parli di pace', un uomo che predichi la 'riconciliazione', un uomo di shalom. Ieri The Guardian ha pubblicato un discorso di Grossman, tenuto la scorsa settimana a Tel Aviv davanti al monumento eretto in memoria di Yitzhak Rabin.

Grossman è un 'israeliano illuminato' di 52 anni, un sionista della sinistra moderata che anela ad un cambiamento. Ho letto il discorso di Grossman, e devo dire che benchè questa persona venga vista come un israeliano intellettuale di sinistra, io vedo riflesso nelle sue parole nient'altro che il cuore della supremazia ebraica, e anche la difesa dei vecchi e crudeli piani razziali sionisti. Grossman, come altri Israeliani, è totalmente immerso nel discorso fanatico e centralista sionista, un discorso di negazione della causa Palestinese; cioè il diritto al ritorno.

Ho raccolto e messo in evidenza alcuni passi oltraggiosi pronunciati dal nuovo, emergente oratore ebreo di sinistra.

Grossman e il Mito dei "Valori Universali Ebraici"

Grossman, l'israeliano che alcuni di noi amano amare, ci fa dono di un ampio scorcio nei meandri della mentalitè laica sionista. "Io sono", così dice di sè, "un uomo senza la minima fede religiosa". Ma Grossman non si ferma qui. "Per me, l'establishment - e la stessa esistenza - dello stato di Israele è qualcosa di miracoloso capitata a tutti noi in quanto popolo; un miracolo politico, nazionale e umano". E io mi chiedo, da quando un laico crede ai miracoli? Qualcuno dovrebbe ricordare al signor "intellettuale laico israeliano" che un miracolo è 'l'effetto di un evento straordinario, nel mondo fisico, che oltrepassa tutti i poteri umani o naturali conosciuti, ed è ascritto a cause sovrannaturali'. Ma Grossman, come molti altri israeliani, è riuscito a seguire una nuova forma di laicità . E' un ateismo ascritto ad 'alcune cause sovrannaturali'. Alquanto bizzarramente, i laici sionisti sono degli ortodossi piuttosto fondamentalisti nella loro nuova, patetica religione. Vorrei aiutare Grossman, e rivelargli che non c'è davvero alcun miracolo eroico per quanto riguarda lo stato di Israele. Israele è soltanto un volgare stato razzista e ultranazionalista. Il relativo successo di Israele sembra miracoloso semplicemente perchè per gli arabi nativi ci sono volute solo alcune generazioni per doversi adattare al livello di barbarie sionista.

Secondo Grossman, Israele ha sprecato questo 'miracolo, questa "grande e rara opportunità che la storia ha concesso, l'opportunità di creare uno stato democratico correttamente funzionante ed illuminato che avrebbe agito in conformità ai valori universali ebraici".

Secondo questa panoramica offerta da Grossman sullo spirito ebraico, l'illuminazione e la democrazia sono estranee agli ebrei, e quando hanno luogo nell'ambito della sfera ebraica, dovrebbero essere considerate come un miracolo. Forse senza rendersene conto, Grossman riconosce che l' 'illuminazione' e la 'democrazia' sono intrinsecamente contrarie allo spirito ebraico. Certo, questa corrente intellettuale non è nuova, nè originale. Le prime masse di ideologi sionisti credevano che nella terra di Sion sarebbe emerso un nuovo tipo di ebreo: civilizzato, laico, democratico e illuminato, ribelle verso la diaspora moralmente degenerata dei suoi antenati.

Ancora più allarmante è quando Grossman inganna grossolanamente i suoi ascoltatori parlando dei 'valori universali ebraici', come se questi valori fossero ben integrati e accettati da tempo come dato di fatto. Potrà suonare bizzarro, ma non è mai esistita una cosa simile nella cultura ebraica. Esiste forse qualche libro che parli di 'valori universali ebraici' ? Non mi risulta. Se esiste un insieme di valori che può essere inteso come 'valori universali ebraici', questo può essere individuato nel cuore del giudaismo. Credo che gli ebrei della Torah che sostengono con sincerità la causa palestinese possano eventualmente sapere qualcosa di questi valori universali. Ma Grossman si definisce un uomo laico. Certo non fa riferimento a questi valori secondo l'interpretazione ortodossa giudaica, quando parla in senso globale degli ebrei. Perchè è la cristianità che traduce il giudaismo in un sistema di valori universali. E' la cristianità che trasforma il 'vicino' in un 'altro universale'. Sicuramente vi è abbondanza di umanisti universali ai quali capita di essere di origine ebraica. Ma non esiste nessun sistema di 'valori universali ebraici'. Grossman, come altri intellettuali ebrei che diffondono il mito dell' 'universalismo ebraico', inganna sé stesso e i suoi ascoltatori. E in più, il fatto che il laicismo ebraico sia privo di una sua storia filosofica potrebbe spiegare la generale bancarotta morale dello stato ebraico. Come leggeremo tra poco, anche Grossman, lui stesso, cade in questa trappola. Potrebbe ben essere cosciente del concetto di moralità, ma è incapace di offrire una visione globale della moralità. Potrebbe anche comprendere l'effetto negativo del razzismo, ma lui, lui stesso, cade molto facilmente nel bigottismo suprematista.

Grossman il Razzista Schietto

Grossman è abbastanza coraggioso da prendere posizione e ammettere che la "violenza e il razzismo" hanno preso il controllo della sua casa, Israele. Fin qui tutto bene. Per un istante sono tentato dal credere che Grossman sia davvero un ebreo laico anti-razzista illuminato, ma poi torno subito sui miei passi quando sento la sua frase successiva: "com'è possibile che un popolo dotato di un potere creativo e rigenerativo come il nostro sia riuscito a ritrovarsi, oggi, in una condizione così debole e disperata?". Il lettore critico si potrebbe chiedere cosa Grossman intendesse veramente quando accennava ad un "popolo dotato di potere creativo e rigenerativo"? E’ piuttosto semplice. Grossman crede davvero nell'unicità del popolo eletto. In altre parole, Grossman non è niente più che un biologo determinista. Ciò che ci si dovrebbe chiedere qui è come sia possibile che il quotidiano The Guardian dedichi tre pagine ad un suprematista ebreo? Sono indubbiamente convinto che gli ebrei godano di una certa libertà di cui il resto dell'umanità è priva. Per esempio, mi riesce difficile credere che The Guardian dia credito a un filosofo tedesco che predica il "potere creativo e rigenerativo" della razza ariana. Ma per qualche strano motivo, un intellettuale ebreo è libero di farlo.

Benchè Grossman sia onesto a sufficienza da ammettere che i Palestinesi riconoscano Hamas come loro leader, sollecita il primo ministro israeliano Ehud Olmert a "fare appello ai Palestinesi per reclamare la testa di Hamas. Di fare appello ai palestinesi moderati, quelli che, come voi e me, si oppongono a Hamas e alla sua ideologia".

Signor Grossman, se realmente lei è un umanista universale, cosa che io sospetto lei sia, le raccomanderei allora di ascoltare meglio le parole di Hamas, invece di parlare ai Palestinesi della testa del loro capo. E' evidente che Grossman manca di rispetto verso i suoi vicini; non è in grado di rispettare la loro scelta democratica. Parlando in generale, suggerisco di indirizzare questo genere di discorsi alle teste di Bush e di Blair. Gli intellettuali hanno il privilegio di ascoltare e di agire eticamente.

Grossman, la Vittima

Ma la sua chutzpah (Ebr: audacia), non si ferma qui. "Guardi ai Palestinesi, almeno una volta", dice ad Olmert. "Vedrà un popolo torturato non più di quanto lo siamo noi". Sì, è proprio così, non è uno scherzo. Grossman, il colonialista ebreo, che si sofferma sulla Palestina occupata, una terra sottoposta alla pulizia etnica della popolazione indigena, che guarda alle vittime Palestinesi terrorizzate e contemporaneamente afferma che "vengono turturate quanto noi".

Questa la dice tutta. Riassume in toto il livello di cecità della sinistra sionista. Certo che se questi sono gli Israeliani di sinistra, chi ha più bisogno della destra?

Tant’è che Grossman, nella sua conclusione finale, ammette: "Le differenze tra la destra e la sinistra sono ridotte ai minimi termini oggigiorno". E ha ragione. All'interno del discorso politico europeo, Grossman, l'intellettuale di sinistra israeliano, non è niente altro che un banale neoconservatore di destra. Un uomo che predica il razzismo in nome della buona volontà. Un uomo che parla alle spese delle teste altrui.

Grossman e la Soluzione dei Due Stati

Grossman inganna se stesso e chi lo ascolta, dicendo che "la terra sarà divisa, e ci sarà uno stato palestinese". In parte si sbaglia, signor Grossman. Questa terra non verrà mai divisa. Le pongo la questione in termini molto chiari e inequivocabili, in modo che lei e i suoi pochi sionisti di sinistra ve ne rendiate conto una volta per tutte. La Palestina è una terra, e Israele è uno stato. La Palestina sarà sempre la Palestina, cioè una terra. E Israele, al contrario, è uno stato razzista e nazionalista e scomparirà . La terra non sarà divisa. Sarà riunita in un'unica Palestina. Anzichè mantenere uno stato razzista e nazionalista, propongo a Grossman e ai suoi amici di unirsi al movimento palestinese. Un movimento in nome dell'eguaglianza nella terra di Palestina. Una Palestina con valori universali.

Gilad Atzmon

17 novembre 2006

La democrazia israeliana

Da Il Manifesto

Recentemente ha fatto il suo ingresso nel governo Olmert un certo Avigdor Lieberman, neo vice primo ministro e con l’ incarico per gli affari strategici legati alla sicurezza dello stato d’ Israele.

Questo signore, giunto in Israele nel ’78 dalla Moldavia (allora Unione Sovietica) e a capo del partito di estrema destra Israel Beiteinu, aveva gia ricoperto incarichi ministeriali nel governo Sharon distinguendosi per affermazioni del tipo “gli arabi d’ Israele dovrebbero essere espulsi”.
Quest’anno, probabilmente forte di un risultato elettorale che a marzo scorso ha assegnato al partito da lui fondato, Israel Beiteinu, “Israele la nostra terra”, 11 seggi alla Knesset avendo ottenuto l’8,98% dei consensi, ha addirittura dichiarato durante un dibattito parlamentare (4 maggio), che parlamentari arabi del parlamento israeliano che hanno rapporti con Hamas o che non festeggiano il giorno dell’Indipendenza dello Stato d’Israele dovrebbero «essere uccisi».

Gli arabi costituiscono il 20% della popolazione dello Stato d’Israele. A differenza di cittadini come Avigdor Lieberman, arrivato nello Stato ebraico dall’allora Unione Sovietica (Moldavia) nel 1978, gli arabi-israeliani abitavano ad Haifa, Jaffa, Lod (che in arabo si chiamava Lidda) ed in numerosi villaggi di cui non rimane traccia, da prima della fondazione dello Stato d’Isarele nel 1948. La maggior parte degli arabi israeliani si definisce palestinese, dati anche i legami familiari tra cittadini arabi recanti passaporto israeliano e gli abitanti dei territori palestinesi occupati. La maggioranza è composta da musulmani sunniti, ma vi sono anche drusi e cristiani. Per Lieberman questi cittadini dovrebbero ricongiungersi ai palestinesi dei territori, a meno di non mostrare piena lealtà allo Stato

Le discriminazioni di cui sono vittima i cittadini arabi di Israele vengono denunciate puntualmente ogni anno da associazioni come il Mossawa Centre e l’Adalah (centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele). Secondo dati diffusi in un rapporto del Mossawa Centre quest’anno, durante gli ultimi 58 anni, la comunità araba d’Israele è stata vittima, in maniera progressiva di ingiustizia sociale ed economica e di discriminazioni di vario tipo. I cittadini arabi-israeliani sono sottorappresentati negli uffici governativi (6%). Hanno accesso limitato alle allocazioni del budget statale (5% nel 2005), ma soprattutto si vede negato il diritto al possedimento di terra (il 3,5%).Senza considerare le demolizioni di case dei beduini del Negev o di quartieri periferici di città come Lod (vicinino Tel Aviv), dove, durante il periodo delle scorse elezioni, alcuni cittadini arabi ci hanno mostrato case con superfetazioni simili a baracche spiegandoci di non avere i permessi per costruire, di non avere case assegnate dallo Stato e di temere per la demolizione delle estensioni abusive. Gli stessi cittadini non possono fare a meno di notare i casermoni costruiti dai governi israeliani che si sono succeduti negli ultimi dieci anni per fare posto ai nuovi cittadini dello Stato d’Israele provenienti dalla ex Unione Sovietica. Come Lieberman.